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Dalle catene muscolari alle catene miofasciali

“Levate tutti gli ostacoli, e quando ciò sarà fatto la Natura farà gentilmente il resto”.

Questa celebre frase di A.T. Still racchiude la profonda essenza della Osteopatia, ma non solo di essa: dalla Chiropratica alla Kinesiologia Applicata/Specializzata, dalla Riprogrammazione Posturale Globale al Rolfing o alla Riflessologia ogni Medicina Manuale dovrebbe fondare i propri pilastri su quella massima.
Ora, cè da dire come gli ostacoli non siano pochi, tutt’altro, né tantomeno semplici da identificare.
Per fare ciò, occorre possedere un’ottima base di neuroanatomia e di biomeccanica. Fortunatamente negli ultimi anni terapeuti di fama internazionale hanno impiegato i loro sforzi per capire un po’ meglio come il corpo si organizzi di fronte ad un insulto. Le catene miofasciali e le catene muscolari sono dei percorsi funzionali la cui comprensione è fondamentale per innescare un processo correttivo o di recupero lesionale. Entrambi questi percorsi racchiudono però almeno due differenze sostanziali: essi infatti hanno una composizione biochimica leggermente differente e “viaggiano” su piani diversi percorrendo dei “binari” non coincidenti, o quantomeno solo in parte.
Una differenza istologica e biochimica è quanto meno ovvia.
Riferendoci al concetto miofasciale, quindi muscolare + fasciale, sarebbe opportuno esaminare dapprima la biochimica muscolare e poi quella fasciale/connettivale. Innanzitutto, la fibra muscolare, sia essa tonica, fasica o tonico-fasica è in grado di ossidare soltanto 6 aminoacidi: essi sono la leucina, l’isoleucina, la valina, l’aspartato, il glutammato, l’alanina.
Inoltre, la “quota di logorio”, cioè la massa muscolare “persa” -turnover proteico- al giorno fisiologicamente ammonta a 0.8-1gr./kg/die e la concentrazione di glicogeno intramuscolare – il massimo è 18gr. pro kg di massa alipidica- e di trigliceridi intramuscolari varia notevolmente in riferimento all’assunzione calorica giornaliera.
Restando all’interno del STP (Sistema Tonico Posturale) e quindi prendendo ad esempio un muscolo a prevalenza di fibre lente, possiamo così classificarlo:
fibre rosse in prevalenza, Slow Twich Fibers, fibre di 1° tipo, ricche di mioglobina e mitocondri, “povere” in glicogeno intramuscolare e in ATP e quindi adatte a svolgere più un ruolo posturale tonico-statico che dinamico fasico.
Sono proprio i muscoli tonici ad andare incontro a retrazioni ed a metaplasia connettivale, sostituendo il tessuto muscolare con quello connettivale, meno nobile ma sicuramente più economico dal punto di vista energetico posturale.
Il dispendio energetico pro kg di BCM (Body Cell Mass) è quantificabile in circa 2.7-3.6 kcal/h per kg di muscolo fresco, nel tessuto connettivo il consumo scende sotto le 2.7 kcal/h.
E’ violata la prima legge della postura, ossia quella del risparmio energetico.
Spostando la nostra attenzione sul Tessuto Connettivo, gli riconosciamo tre tipi di fibre:
una componente collagenica (collagene)
una componente reticolare (reticolina)
una componente elastica (elastina)
Il collagene è la proteina più diffusa nel corpo umano, 1/3 del volume totale proteico del corpo è costituito da esso.
L’altra componente che forma il connettivo è la proteoglicasi, formante la struttura di lavoro del collagene: sono macromolecole composte dalle glucosamminglicasi (lunghe catene di acido ialuronico modificate + glucosamina).
Ciascuna tipologia di fibre è costiuita da “fibrille” e da “sostanza intercellulare cementante”.
La componente reticolare rappresenta il grado più basso di differenziazione.
Il tessuto connettivo reticolare forma l’impalcatura fondamentale di organi linfatici, del midollo osseo ed è presente in gran quantità anche nella muscolatura liscia e striata.
Le sue fibre hanno comunque una certa distensibilità dovuta al fatto che sono costituite con orientamento assai irregolare finalizzato a garantire la funzione meccanica di elasticità tridimensionale nel modo più completo ed efficace possibile.
La distribuzione dello spessore delle fibrille è caratteristica propria di ogni tessuto connettivo e di ogni singolo organo e dipende da: età del tessuto, funzione della struttura, tipo di sollecitazione abitualmente sopportata.
Nello sviluppo di tessuto connettivo si verificano tre fasi:
1. Prefunzionale: comporta un aumento di spessore delle fibrille
2. Funzionale: costanza dello spessore delle fibrille sotto carico funzionale
3. Regressiva: diminuzione dello spessore delle fibrille con l’invecchiamento e la diminuzione/cessazione dello stimolo funzionale

Riferendoci ad esami di laboratorio, il principale marker di lisi connettivale è l’idrossiprolina, mentre il marker più attendibile di lisi miofibrillare è la 3-metilistidina; entrambe si evidenziano nelle urine.
Possiamo dunque affermare che “stare in piedi” costa caro al corpo!
Lo spostamento millimetrico costante del centro di Massa sposta il Peso Corporeo (dato da Massa x Accelerazione di Gravità) su diverse sovrastrutture mio-articolari “A.P.A. governate”.
La gravità con i suoi 10kg di pressione costante sul capo ci condiziona continuamente, dunque perché non sostituire il tessuto muscolare e quindi “spendere” meno energie?!
Di fatto è proprio questo che avviene.
Ora, questo processo è di per sé fisiologico, se non fosse che a lungo andare la metaplasia connettivale porta inevitabilmente a grossi squilibri muscolari, e quindi posturali.
Viene così violata la seconda legge della postura, quella dell’equilibrio.
Nel concetto miofasciale diverse catene si organizzano su di un piano superficiale, mentre altre su di un piano più profondo.
Ovviamente le catene del piano superficiale avranno peculiarità diverse rispetto a quelle del piano profondo.
Ciò non avviene in riferimento alle Catene Muscolari.
Riassumendo schematicamente per semplicità di comprensione queste catene, possiamo classificare:

  • le Miofasciali (Linea Superficiale Posteriore, Linea Superficiale Frontale, Linea Laterale, Linea a Spirale, Linee del Braccio, Linee Funzionali, Linea Frontale Profonda.
  •  le catene Muscolari ( Catena Statica Posteriore, Catena Statica, Catena di Flessione, Catena di Estensione, Catena di Apertura, Catena di Chiusura, Catene Crociate, Catene di Flessione e di Estensione del braccio, Catene di Chiusura e di Apertura del braccio, Catena Statica Laterale ).

Diverse in termini quantitativi, diverse nei percorsi superficiali, diverse posturalmente, diverse nei percorsi profondi, ma funzionalmente molto simili.

Confrontiamo a titolo d’esempio le catene miofasciali della Linea Superficiale Frontale (LSF) e la Linea Profonda Frontale (LPF) con la Catena Muscolare di Flessione (CMF), tutte aventi un decorso anteriore, o quasi: la funzione posturale della LSF è quella di bilanciare la Linea Superficiale Posteriore e di fornire un supporto tensivo dall’alto per sollevare quelle parti dello scheletro che si estendono oltre la linea gravitaria, come il pube o la faccia.

Essa crea flessione delle anche e del tronco, estensione delle ginocchia e dorsiflessione dei piedi, combinando tutti questi movimenti per la peculiarità del gesto da compiere.

La funzione posturale della LPF è quella di sollevare l’arco interno, stabilizzare ciascun segmento delle gambe, supportare la colonna lombare anteriormente, stabilizzare il petto nei cicli respiratori e bilanciare la fragilità del collo con il peso della testa che lo sovrasta.
Essa è delimitata ovunque da altra miofascia, ed è caratterizzata da muscoli esclusivamente tonici, atti dunque ad una funzione prevalentemente statica. Non ha dunque funzione motoria, se per motoria intendiamo deambulazione o movimenti di arti superiori o inferiori.
La CMF al contrario non ha funzione posturale, bensì di arrotolamento e di strutturazione del movimento in cui il ”distributore” di energia è lo stesso sistema anti-gravitazionale.
Ma se queste catene divergono nell’aspetto posturale, convergono su quello funzionale: la LSF globale origina caudalmente dalle superfici dorsali delle falangi delle dita dei piedi proseguendo negli estensori corti e lunghi delle dita, al tibiale anteriore ed al compartimento crurale anteriore risalendo frontalmente al tubercolo pubico e alla fascia sternocondrale fino ad inserirsi cranialmente allo SCM ed alla fascia dello scalpo.
Essa segue un percorso bilaterale. Ovviamente origine ed inserzione della LSF possono invertirsi in virtù del gesto da compiere, una sorta di legge della “reversibilità funzionale” applicata ad una catena e non ad un singolo distretto muscolare: più il punto fisso o fulcro sarà caudale, maggiore sarà il reclutamento neuromuscolare a partenza craniale, e viceversa.
In osservanza delle leggi basilari della Biomeccanica, almeno il Vantaggio, il Braccio di Leva e il Momento Torcente vengono costantemente modificati, passando da fisiologici a disfunzionali, ogni qualvolta la velocità di esecuzione del gesto varia e il p.to di applicazione della forza cambia per sottostare ad eventuali compensi o posture antalgiche.
La LPF globale origina caudalmente dalle ossa plantari tarsali, proseguendo nel tibiale posteriore e via verso la fascia del popliteo e la capsula del ginocchio, raggiungendo gli adduttori e il pavimento pelvico; da qui si dirama verso l’ileopsoas e il triangolo femorale, proseguendo verso i corpi vertebrali nel legamento longitudinale anteriore, del capo e del collo, arrivando al diaframma ed ai suoi pilastri, alla fascia endotoracica e prevertebrale sino al rafe faringeo, ai muscoli scaleni ed alla pleura parietale; da qui si inserisce cranialmente attraverso la fascia pretracheale, i muscoli sovraioidei e masticatori sulle ossa craniali.
Essa segue un percorso bilaterale.
Vale sempre la legge della “reversibilità funzionale”. Essa “Avvolge” in parte gli arti inferiori proseguendo profondamente sia anteriormente che posteriormente fino ad inserirsi frontalmente sul cranio.
La CMF globale origina cranialmente e frontalmente dal succlavio e dallo sternoioideo proseguendo nei muscoli glossi e masticatori, nei flessori del collo, nello SCM, posteriormente nei romboidei, nei trapezi e nei grandi rotondi, ancora anteriormente nei pettorali, negli intercostali medi, nel retto dell’addome, nel perineo, nello psoas, postero-lateralmente negli otturatori e posteriormente nel semimembranoso per arrivare al polpliteo ed al gastrocnemio, e ripassare ancora anteriormente nell’estensore lungo delle dita, il quadrato plantare ed i lombricali, per terminare ancora posteriormente nel flessore breve dell’alluce e nel flessore breve del V° dito.
Essa segue un percorso bilaterale, “avvolgendo” completamente il corpo in una sorta di spirale, dalla testa ai piedi.
Come per le altre due, origine ed inserzione possono invertirsi in virtù del gesto da compiere. Tutte e tre le catene esaminate condividono precisi distretti muscolari:
il retto dell’addome, lo psoas, l’estensore lungo delle dita, lo SCM, i muscoli infra-sotto-sopra joidei, i muscoli masticatori, gli otturatori -in particolare quello interno-, il perineo.
Il minimo comun denominatore è rappresentato dal muscolo diaframma toracico. Esso è il vero equilibratore delle forze in gioco.
I muscoli della colonna hanno due ruoli importanti e fini: quelli della parte alta – C0-D9 – hanno il ruolo di contrapporsi al movimento delle braccia, come la zavorra di una gru sul braccio che sposta i “mattoni”; quelli della parte bassa – D10-sacro – devono tenere una buona base d’appoggio e controllare il CM (Centro di Massa).
Tra tronco, arti superiori ed inferiori il muscolo che partecipa costantemente alla integrazione e al controllo della stabilizzazione posturale è il diaframma.
Infatti, durante qualsiasi movimento del torace e degli arti esso interviene sempre come fissatore di tutti i movimenti volontari; perciò ogni gesto che richiede un grosso sforzo è eseguito, se fatto naturalmente, in espirazione!
Ciò permette al diaframma di essere solo al “servizio” dello schema posturale, cosa impossibile se fosse impegnato nell’atto inspiratorio, atto che lo renderebbe meno efficace nel controllo posturale, rendendo quest’ultimo più debole.
Una persona con distretti muscolari tesi e duri al tatto andrà probabilmente incontro ad una disfunzione diaframmatica, con ipomobilità toracica alta ed una respirazione prevalentemente costale.
Ciò provocherà una eccessiva compressione polmonare ed una alterazione del Q.R. (Quoziente Respiratorio) non proteico- CO2/O2-, con parametri superiori a 0.707 kcal/LO2 ventilato ed una conseguente modificazione del MB (Metabolismo Basale).
Il Volume corrente, la Capacità inspiratoria ed il Volume minuto respiratorio verranno anch’essi perturbati.
L’alcalinizzazione del pH a riposo nel muscolo e nel sangue sarà il passo successivo, quindi si verificherà un aumento del LA ematico e muscolare indipendente da ipossia tissutale, un superlavoro degli isoenzimi SDH cardiaci, un sovrautilizzo degli inspiratori accessori come gli scaleni o il quadrato dei lombi con tutte le conseguenze: prima costa in lesione osteopatica di flessione o sublussazione kinesiologica, quindi anche irritabilità e ansietà causate da compressioni nervose e vascolari, affaticamento cerebrale, astenia muscolare causata anche da un aumento del LA, modificazione osteo-artro-mio-fasciale nei distretti direttamente interessati e per compenso anche in quelli distali.
Una asincronia neuromuscolare nel movimento umano genera compensi, che a lungo andare creeranno dolore.
Viene così violata la terza legge della postura, la legge del Comfort.
Soffermiamoci adesso con più attenzione su alcuni punti chiave per quanto riguarda un discorso puramente biomeccanico.
I pivot (punti perno) legamentosi e non, partendo caudalmente, sono rappresentati da:

  • Legamento interosseo astragalo-calcaneare
  • Legamenti crociati del ginocchio
  • Legamenti ileolombari e lombosacrali
  • Legamento sterno-clavicolare
  • L3
  • La “cerniera” D12-L1
  • D9
  • D4
  • D2
  • La “cerniera” C7-D1
  • C5
  • C3
  • C2
  • C0-C1

Sono questi i punti da trattare con una ginnastica funzionale lavorando sulle catene miofasciali e muscolari in caso di Sindrome Disarmoniosa o Disarmonica.

Tale sindrome si sviluppa quando i riflessi neurofisiologici posturali vanno in “tilt” per i motivi più svariati – disturbi psicologici, viscerali, immunitari, da trauma ecc..- e viene alterata la sequenza dei segnali afferenti ed efferenti.
Mettere un byte, una soletta propriocettiva o dei prismi oculari in questo caso non servirà assolutamente a niente, anzi peggiorerà la situazione saturando di informazioni errate il STP – Sistema Tonico Posturale-.
Un esempio comunissimo è la tensione localizzata a livello della “cerniera D12-L1”: con l’ausilio della Swiss Ball metteremo il soggetto con la schiena appoggiata sulla palla, localizzando l’appoggio proprio sul punto che ci interessa.
Sfruttando le catene muscolari e miofasciali possiamo veramente sbloccare tensioni importanti, anche se a volte per normalizzare tensioni strutturate da anni è necessaria la collaborazione con Kinesiologi, Osteopati, esperti T.O.P. o anche Chiropratici.
Nel caso specifico, una persona con una importante cifosi verrà portata il leggera estensione (quindi decifotizzando) arrivando alla “barriera” motoria D12-L1.
In questo caso possiamo sfruttare le catene dell’arto inferiore a partenza caudale per normalizzare una tensione più craniale: una estensione di entrambe le tibio-tarsiche accompagnata da apnea espiratoria (in genere viene utilizzata l’espirazione per correggere lesioni in estensione e l’inspirazione per quelle in flessione) e leggera contrazione in estensione da parte del soggetto sul punto di appoggio della Palla, ripetuto varie volte, può sciogliere la tensione vertebrale.
Ad ogni ciclo inspiratorio il soggetto guadagnerà un po’ di movimento estendendo la schiena sul punto di appoggio, per poi ripetere un altro ciclo.
Se invece volessimo sfruttare le catene dell’arto superiore, il soggetto starebbe con le braccia incrociate sul petto estendendo D12-L1 cominciando il movimento da una estensione del capo all’indietro fino ad arrivare al punto tensivo.
Se vi fossero anche delle disfunzioni in lateralità es. dx, allora il soggetto potrebbe effettuare lo stesso movimento, incrociando solo la mano dx sulla spalla sinistra e abbassando la spalla omolaterale alla lateralità, in questo caso dx, aggiungendo una leggera estensione, sempre in apnea espiratoria. Queste correzioni a forza intrinseca, in quanto è il soggetto stesso che si autocorregge, possono essere utilizzate per ogni segmento vertebrale.
Sono correzioni dolci che sfruttano le leve miofasciali e muscolari all’interno delle catene, e soprattutto “chiudendo” le catene mantenendo i piedi in terra, e lasciando inalterati gli stimoli neurofisiologici afferenti a partenza podalica.
Allo stesso modo, durante il recupero funzionale, possiamo “recuperare” un quadricipite facendo spingere il soggetto seduto con i piedi “penzoloni” con il capo contro la nostra mano in direzione anteriore e in omolateralità relativa al quadricipite da trattare.
Ancora, possiamo recuperare uno psoas dx relativamente debole spingendo in piedi, con il braccio sinistro alzato, in estensione contro una resistenza verso il basso ad alta velocità; questo esercizio è valido anche per gli obliqui dell’addome controlaterali.
In questo caso oltre alle catene muscolari e miofasciali stiamo “giocando” con gli A.P.A. (Aggiustamenti Posturali Anticipatori).
Per la tonificazione di un quadrato dei lombi dx possiamo effettuare delle abduzioni contro resistenza con il braccio sinistro sotto i 70°, anche queste effettuate ad alta velocità per reclutare gli A.P.A. controlaterali.
I precedenti sono esempi di recuperi funzionali del gesto localizzati sul punto in tensione ma effettuati distalmente.
La conoscenza anatomica delle catene ci può essere veramente di grande aiuto, soprattutto quando altri interventi di rieducazione funzionale hanno fallito.

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