Dimensioni del problema
La lombalgia colpisce circa il 60-80 per cento della popolazione adulta almeno una volta nella vita, e più del 50 per cento lamenta mal di schiena nel corso di un anno d’osservazione.
La rachialgia è tra le 10 principali cause di visita presso il pronto soccorso, ambulatori ospedalieri e studi di medici di base. Sebbene i sintomi siano di solito acuti e circoscritti, la lombalgia si ripresenta frequentemente e nel 5-10 per cento dei pazienti tende a cronicizzare.
I dolori alla schiena sono la più frequente causa di disabilità nei soggetti d’età inferiore ai 45 anni. Le terapie sono assai costose.
Nel 2000, i costi medici diretti per problemi di lombalgia hanno superato i 24 miliardi di dollari negli Stati Uniti. I costi totali annuali per il mal di schiena aumentano da 35 a 56 miliardi di dollari, se s’includono anche i costi legati alla disabilità.
Le più frequenti cause di dolore riferito alla colonna vertebrale sono di natura occupazionale, chiaramente correlate al sollevamento di pesi e all’esecuzione d’attività ripetitive.
Sono particolarmente a rischio i soggetti occupati in lavori che necessitano sollevamenti ripetuti, come, per esempio, infermieri ed operai dell’industria pesante. Sulla base di dati nazionali americani, i gruppi di lavoratori che presentano la più elevata prevalenza stimata di lombalgia (10,1-10,5 per cento) sono meccanici, addetti alla riparazione di veicoli o strumentazioni pesanti, operai dell’industria estrattiva e mineraria, manovratori di mezzi per la movimentazione dei materiali e operai del settore edile.
Efficacia della riduzione del rischio
Tra le strategie più comunemente proposte per la prevenzione della lombalgia figurano:
- esercizi di flesso-estensione della schiena ed esercizi fisici in generale;
- miglioramento delle tecniche meccaniche ed ergonomiche applicate alla schiena;
- supporti meccanici per la schiena (corsetti o cinti);
- modificazioni dei fattori di rischio (riduzione dell’obesità e del fumo).
Le strategie cliniche per prevenire i dolori lombari sono mirate ai soggetti asintomatici, con o senza storia di mal di schiena. La fisiopatologia dei dolori lombosacrali e l’efficacia delle strategie preventive non differiscono in maniera sostanziale in questi due gruppi, ed è per tale motivo che in questa trattazione sono stati valutati studi sulla prevenzione sia in soggetti con precedente storia di lombalgia acuta sia in soggetti privi di questo dato anamnestico. La Task Force non ha preso specificatamente in considerazione gli interventi in ambito lavorativo atti a prevenire la lombalgia, quali, per esempio, selezione del personale, modificazioni degli ambienti lavorativi o il ruolo del medico del lavoro. Sono stati inseriti studi sugli ambienti lavorativi, se generalizzabili al contesto d’intervento proprio della medicina generale.
L’esercizio fisico è finalizzato tipicamente al rinforzo della muscolatura estensoria e flessoria della schiena e all’aumento della flessibilità della colonna per ridurre il rischio di traumi, al miglioramento della funzionalità cardiovascolare per ridurre i danni e migliorare le capacità di recupero in caso di trauma; a migliorare l’umore e minimizzare la percezione del dolore, per ridurre l’impatto del danno.
Studi osservazionali hanno generalmente evidenziato un’associazione tra un maggior benessere o elevati livelli d’attività fisica e ridotta prevalenza di mal di schiena e problematiche connesse, ma i risultati sul dolore lombare dell’effetto di una maggiore flessibilità o forza muscolare sono meno affidabili. Cinque studi controllati hanno valutato la prevenzione del dolore lombare tramite esercizio fisico rispetto al mancato intervento. Due di questi studi hanno valutato gli esercizi di rinforzo della muscolatura vertebrale.
Nel primo studio, le infermiere e gli ausiliari, con o senza precedenti anamnestici di dolore lombare, sono stati casualmente suddivisi in due gruppi: un gruppo riceveva istruzione su quali fossero gli esercizi di rinforzo della muscolatura estensoria della schiena (nel corso di cinque sessioni di mezz’ora), e, nei tredici mesi successivi, eseguiva tali esercizi sul posto di lavoro (con una media di sei ore al mese); l’altro gruppo, di controllo, non era sottoposto a nessun intervento. I soggetti trattati acquisivano maggior forza nei muscoli estensori, riferivano un numero di giorni con mal di schiena inferiore e si assentavano più raramente dal lavoro per mal di schiena; i giorni di assenza complessivi dal lavoro non erano segnalati.
Nel secondo studio, realizzato in ambito ospedaliero, i lavoratori con un episodio di lombalgia, nell’anno precedente allo studio, erano stati casualmente suddivisi per ricevere: sessioni d’esercizi per il rinforzo della muscolatura flessoria della schiena di 45 minuti, due volte la settimana per tre mesi, da eseguirsi sul posto di lavoro;
cinque sessioni, di 90 minuti, d’educazione al problema lombalgico della schiena;
nessun tipo d’intervento.
Il numero di mesi dolenti in cui era riferita la presenza di dolore è risultato significativamente minore per i soggetti inclusi nel gruppo che aveva praticato attività fisica, rispetto agli altri gruppi.
Tre studi controllati hanno valutato l’esercizio fisico mirato al miglioramento della funzionalità cardiovascolare. Nel primo studio, 125 lavoratori dell’industria, con un’anamnesi positiva per mal di schiena, sono stati suddivisi casualmente in un gruppo di controllo, che non riceveva trattamento e in un gruppo sottoposto a sessioni d’esercizi aerobici, una volta alla settimana, per 18 mesi, da eseguirsi sul posto di lavoro. I tassi d’abbandono del programma sono risultati assai elevati: 19 dei 67 controlli e 21 dei 58 soggetti sottoposti al programma d’attività fisica hanno lasciato lo studio (di cui cinque a causa di un aumento del dolore alla schiena o al collo). Nell’arco dei 18 mesi si assisteva ad una significativa riduzione del numero medio d’episodi di mal di schiena e dei giorni di malattia attribuibili alla lombalgia nei soggetti che avevano praticato gli esercizi, rispetto a quelli di controllo. I giorni totali di malattia non sono stati comunque segnalati. In uno studio randomizzato e controllato, che ha valutato infermieri con storia anamnestica di lombalgia durante i due anni precedenti lo studio, i soggetti sottoposti all’intervento svolgevano un programma di cinque settimane che associava quotidianamente quattro ore d’esercizio aerobico e quattro ore d’educazione al problema lombalgico.
Sebbene i soggetti sottoposti all’intervento avessero segnalato, dopo sei mesi, minori sintomi di mal di schiena rispetto ai controlli, non è chiaro se questo sia dipeso dall’esercizio, dall’educazione al problema o da entrambi. Al controllo, dopo 18 mesi, i giorni di malattia nel gruppo trattato erano aumentati rispetto all’inizio.
In uno studio non randomizzato su 45 ausiliari sanitari con dolore alla schiena di tipo non debilitante, 15 soggetti avevano frequentato corsi per incrementare la capacità aerobica due volte la settimana per otto settimane, 14 avevano imparato un metodo di sollevamento dei pesi protettivo per la schiena, ed i rimanenti erano stati utilizzati come controllo. A seguito dell’intervento, gli individui nel gruppo che aveva praticato esercizio fisico avevano una capacità aerobica significativamente aumentata, anche se non si assisteva ad una riduzione della durata o della frequenza degli episodi di mal di schiena rispetto ai controlli.
Pertanto, la maggior parte degli studi ha dimostrato un beneficio statisticamente significativo derivato dall’esercizio fisico, anche se di modesta entità e di durata incerta. Le modalità d’intervento utilizzate potrebbero non essere rilevanti dal punto di vista clinico, dato che venivano praticate nell’ambito dell’orario di lavoro, favorendo notevolmente la possibilità di una buona compliance. Nella maggior parte degli studi, gli autori non specificano se i gruppi di controllo continuavano il lavoro mentre i gruppi in trattamento svolgevano gli esercizi. Se così fosse, i risultati potrebbero essere stati inficiati dalla maggiore quantità di tempo passata svolgendo attività lavorative, che esponevano a danni alla schiena, da parte del gruppo di controllo rispetto ai soggetti trattati. Un problema metodologico comune è la mancata precisione nello specificare se l’obiettivo dell’intervento fosse la prevenzione del primo episodio di lombalgia, della limitazione funzionale, della ricorrenza degli episodi, dell’assenteismo dal lavoro o della disabilità cronica.
Infine, i criteri d’inclusione ed i risultati clinici dei diversi studi risultano differenti e talvolta difficili da confrontare. Per questo, le prove relative all’efficacia dell’esercizio fisico nella prevenzione della lombalgia non sono definitive. Gli apparecchi di tipo ortesico come i supporti per la schiena (corsetti o cinti) sono frequentemente utilizzati per prevenire mal di schiena e traumi. Questi mezzi possono essere prescritti dai medici, ma i soggetti affetti da lombalgia se li procurano generalmente da soli o tramite personale non medico. Diversi studi hanno cercato di valutare l’utilizzo di cinti per la schiena in ambito lavorativo.
In uno studio controllato, 642 persone addette allo scarico dei bagagli in aeroporto sono stati suddivisi in quattro gruppi: un gruppo indossava il cinto per la schiena, un gruppo seguiva un corso di formazione, un gruppo portava il cinto e seguiva il corso ed un gruppo serviva da controllo. Sono stati inclusi anche lavoratori con precedenti anamnestici, o la proporzione di questi soggetti, con anamnesi positiva per dolore alla schiena, nell’ambito di ciascun gruppo, non è stata segnalata. Il cinto alla schiena doveva essere indossato solamente al lavoro. Il corso di formazione, della durata di un’ora, comprendeva informazioni sulla meccanica della schiena, sulle tecniche adeguate per sollevare pesi e sugli esercizi di riscaldamento. Ad un controllo dopo otto mesi, non si rilevavano differenze statisticamente significative nei tassi medi d’assenze dal lavoro tra il gruppo di soggetti che indossava il cinto, quello che aveva seguito anche il programma di formazione o il gruppo di controllo.
Se si raggruppavano tutti i soggetti che utilizzavano il cinto per la schiena e si confrontavano ai controlli, il gruppo trattato dimostrava una frequenza superiore di mal di schiena. I risultati sono comunque di difficile interpretazione, in quanto l’analisi è stata effettuata in base al trattamento eseguito, piuttosto che in base all’indirizzo di trattamento, ed il 58 per cento dei soggetti inseriti in uno dei gruppi che utilizzava il cinto per la schiena, che non aveva sviluppato lombalgia, aveva smesso di utilizzare i supporti prima del termine dello studio.
In uno studio su 90 magazzinieri, un terzo aveva ricevuto un intervento di tipo educativo, della durata di un’ora, sulle caratteristiche di funzionamento della colonna vertebrale ed era stato fornito di un corsetto da utilizzare durante le ore di lavoro, un terzo aveva ricevuto solo l’intervento di tipo educativo e l’altro terzo non veniva trattato in alcun modo. Non si ravvisavano differenze nella produttività o nei tassi d’infortunio, ma i soggetti che indossavano il corsetto ed avevano ricevuto l’intervento educativo avevano un significativo decremento d’assenza dal lavoro, se confrontati con i controlli (2,5 giorni di lavoro persi in meno rispetto a 0,4 giorni in più).
Queste differenze nei risultati clinici si sono evidenziate solo nel sottogruppo di lavoratori che già soffrivano di mal di schiena, facendo pensare che l’approccio preventivo può essere d’aiuto solo per i soggetti con una storia anamnestica di lombalgia. In uno studio retrospettivo di coorte sono stati valutati 1.316 impiegati in una base dell’Air Force dove, per politica sanitaria, tutti i soggetti con una storia di lombalgia ed un lavoro che necessitasse di frequenti sforzi di sollevamento pesi erano obbligati ad indossare un cinto.
Quelli che indossavano il cinto erano considerati come gruppo attivo, mentre quelli che, pur avendo il medesimo impiego, avevano scelto di non indossare il cinto erano considerati come gruppo di controllo: scelta questa che lascia supporre un errore di selezione. Il rischio d’attacchi lombalgici si era comunque ridotto del 40 per cento tra i soggetti che utilizzavano cinti per la schiena, anche se la differenza non risultava statisticamente significativa.
I costi conseguenti agli infortuni occorsi a chi indossava il cinto sono risultati comunque sostanzialmente più elevati di quelli sostenuti da chi non l’indossava. I risultati, quindi, sono inadeguati per dimostrare un beneficio dell’utilizzo di cinti per la schiena, e fanno pensare a possibili effetti negativi. Inoltre, la scarsa compliance verificata in questo ed in altri studi mette in dubbio il fatto che i corsetti per la prevenzione della lombalgia possano essere usati di routine. I dati epidemiologici indicano che numerosi fattori di rischio modificabili, tra i quali il fumo, l’obesità e determinati profili psicologici, predispongano alcuni soggetti a soffrire di lombalgia.
Si suppone che questi fattori di rischio esercitino la loro influenza sia aumentando il rischio del soggetto di ricorrere in un evento precipitante sia aumentando la possibilità che quest’evento sia percepito come doloroso o disabilitante. Studi trasversali e prospettici hanno dimostrato in modo significativo che i fumatori hanno un rischio aumentato di 1,5-2,5 volte rispetto ai non fumatori. Una base biologica per quest’aumento di rischio, deriva da un recente studio sui gemelli monovulari con comportamenti differenti in relazione al fumo, che ha dimostrato come il fumo aumenti la possibilità di alterazioni degenerative della colonna.
Studi trasversali e prospettici hanno associato anche l’obesità con la lombalgia, sebbene uno studio non abbia confermato quest’associazione. Il legame può essere più forte tra le donne. Sulla base di queste correlazioni, alcuni autori hanno consigliato la sospensione del fumo e, per i soggetti obesi, la diminuzione del peso come misure preventive nei confronti del mal di schiena, anche se non è stata individuata una relazione diretta che confermi questi consigli. Anche i fattori di rischio psicologici, tra i quali la depressione, l’ansia e lo stress lavorativo, sentito e vissuto come elevato, sono stati associati allo sviluppo di dolore lombare.
Non esiste a tutt’oggi un’evidenza diretta di una riduzione della lombalgia una volta modificati questi fattori.
Efficacia degli interventi di educazione sanitaria e consulenza
La strategia di prevenzione per il mal di schiena più frequentemente adottata in ambito lavorativo è di tipo educativo e può essere attuata anche dai medici. L’informazione tramite corsi mirati alla schiena, che includano informazioni sulle sue caratteristiche funzionali, strategie cautelative di sollevamento pesi, indicazioni delle posture corrette, esercizi per prevenire il mal di schiena e gestione dello stress e del dolore, sono risultati efficaci nel ridurre i traumi lavorativi e nell’alleviare il dolore lombare cronico.
Questi programmi sono attuati sul posto di lavoro, e non sono comunque generalizzabili all’educazione sanitaria in ambito clinico. Sono stati anche valutati altri tipi di programmi educativi, potenzialmente rilevanti dal punto di vista clinico. Tutti gli studi, che includevano pazienti con o senza precedenti mal di schiena, generalmente si componevano di campioni di piccole dimensioni e, ad eccezione di uno, erano condotti sul luogo di lavoro. Dato che sarebbe difficile condurre interventi educativi sulla lombalgia in cieco ed essendo la percezione del dolore lombare una variabile soggettiva, tutti i risultati sono potenzialmente viziati da influenze soggettive. Sono stati condotti cinque studi controllati e randomizzati sugli interventi educazionali di prevenzione del mal di schiena.
Come già descritto, due di questi associavano al programma educativo interventi di attività fisica ed uno associava al programma educativo l’uso di supporti per la schiena. Nello studio che ha preso in esame impiegati ospedalieri, indirizzati casualmente all’esecuzione di esercizi o ad un programma educativo o al gruppo di controllo, la conoscenza dei meccanismi di funzionamento del corpo migliorava sia nei soggetti appartenenti al gruppo che praticava esercizio fisico sia in quelli che seguivano il corso educativo. Quest’ultimo gruppo, comunque, non ha presentato una riduzione degli episodi di lombalgia. Nello studio sugli infermieri, assegnati in modo casuale, all’esecuzione di esercizi associata ad un programma educativo o al gruppo di controllo, che non riceveva nessun intervento, i soggetti trattati evidenziavano, ad un controllo dopo sei mesi, una significativa riduzione del dolore dichiarato, della stanchezza ed un maggior benessere nel compiere le attività quotidiane; gli effetti dell’educazione, tuttavia, non erano separabili da quelli dovuti all’esercizio fisico. Uno studio precedentemente citato, che ha valutato sia l’uso di supporti lombari (corsetti) sia l’efficacia del programma educativo forniti ai magazzinieri, aveva compreso un gruppo che aveva ricevuto solo un’ora di programma educativo sulle tecniche di sollevamento più appropriate.
I soggetti inseriti nel programma educativo risultavano avere, a distanza di sei mesi, una maggior conoscenza relativa alla lombalgia rispetto ai soggetti appartenenti al gruppo di controllo. I soggetti che lamentavano una storia pregressa di episodi lombalgici, segnalavano una loro riduzione ed una diminuzione delle assenze dal lavoro al termine del programma educativo, rispetto al gruppo di controllo; questo programma non aveva alcun effetto sui soggetti senza precedenti episodi di mal di schiena. In un altro studio randomizzato sui lavoratori del servizio postale statunitense, la conoscenza delle caratteristiche del dolore lombare era maggiore nei soggetti che avevano seguito un corso educativo, ma la frequenza segnalata di attacchi lombalgici ad un controllo dopo due anni e mezzo non era differente nei due gruppi.
Nel quinto studio, gli adolescenti inseriti in un programma di lavoro estivo erano stati indirizzati in modo casuale ad una lezione di un’ora che forniva informazioni relative alle tecniche di sollevamento più appropriate, seguita da due sessioni di verifica pratica delle nozioni apprese oppure a seguire lezioni semplicemente orientative. I soggetti che avevano seguito il programma educativo completo adottavano, ad una valutazione dopo quattro settimane, migliori tecniche di movimento rispetto ai controlli, ma non erano registrati dati successivi alle quattro settimane e non era stata misurata l’incidenza della lombalgia. Nessuno tra i sei studi non randomizzati e uno studio caso-controllo, che hanno preso in esame interventi di tipo educativo, ha ravvisato una differenza statisticamente significativa tra i controlli e i soggetti trattati per quanto riguarda l’incidenza o la durata dei problemi a livello lombare, degli episodi di dolore o, delle assenze dal lavoro, valutate da uno studio.
Uno di questi programmi, condotto su studenti del corso per infermieri, ha rilevato che gli studenti del gruppo che aveva seguito il corso avevano maggiore abilità nel sollevare pazienti, secondo la valutazione di osservatori non in cieco. Gli infermieri più abili nello spostare i pazienti (indipendentemente dal gruppo di appartenenza), avevano meno disturbi di tipo lombalgico rispetto agli altri (2 per cento rispetto al 24 per cento), anche se nel gruppo trattato ed in quello di controllo non c’erano differenze nella comparsa del mal di schiena. L’intervento di tipo educativo, quindi, aumenta le conoscenze e può migliorare il modo di sollevare i pesi, ma ci sono scarsi dati sul fatto che questi cambiamenti possano prevenire le lombalgie o i traumi alla schiena. Due studi hanno valutato gli interventi di tipo educativo per la prevenzione delle lombalgie nel corso della gravidanza. In uno studio non randomizzato, 85 donne gravide avevano seguito un corso di due sedute di un’ora ciascuna, nel quale venivano discusse le cause della lombalgia, le migliori posture da assumere durante il lavoro e le strategie per sollevarsi meglio.
Novanta donne gravide, che erano state ricoverate nella clinica dopo il corso o in una clinica vicina, sono servite da controllo. I tassi soglia di dolore lombare erano simili per entrambi i gruppi. Dopo il programma educativo, le donne nel gruppo trattato avevano meno dolori di schiena riferiti come disturbanti o gravi rispetto ai controlli (32 per cento rispetto al 54 per cento). Il beneficio proseguiva fino al parto, ma le donne non venivano ulteriormente seguite. In un altro studio controllato, 407 donne gravide sono state assegnate, in base alla loro data di nascita, a un corso collettivo di 45 minuti di due sedute, o a cinque lezioni individualizzate di 30 minuti l’una, con lo stesso programma del corso collettivo, oppure al gruppo di controllo.
In generale, gli interventi non avevano alcun effetto significativo sull’incidenza o sull’intensità del mal di schiena. Tuttavia, nel sottogruppo di donne che soffriva di mal di schiena o dolore pelvico posteriore, entrambi i tipi di intervento hanno ridotto il dolore e le lezioni individuali riuscivano a far ridurre gli antidolorifici assunti e l’intensità del dolore riferito otto settimane dopo il parto. Lo studio mostra limiti metodologici sia nell’analisi che nell’esposizione dei dati. Attualmente non risulta sufficientemente provato che gli interventi di educazione sanitaria, volti ad incoraggiare i pazienti ad inserire la pratica dell’esercizio fisico regolare fra le abitudini quotidiane, siano effettivamente in grado di influire sui comportamenti.
E’ necessario proseguire le ricerche per stabilire l’efficacia degli interventi di educazione sanitaria e consulenza sui fattori di rischio modificabili, per prevenire i disturbi lombalgici. Molti studi hanno dimostrato che interventi di questo tipo, attuati dal medico, possono aumentare in misura consistente la percentuale di persone che smettono di fumare. In molti casi gli interventi si sono dimostrati efficaci anche nell’indurre una perdita di peso a breve termine e nell’eseguire trattamenti efficaci per la depressione diagnosticata.
Tuttavia, ci sono scarse prove che dimostrino l’efficacia dell’educazione sanitaria finalizzata ad affrontare problematiche quali il fumo, l’obesità, o i problemi psicologici connessi all’insorgenza del mal di schiena.
Raccomandazioni da parte di altri gruppi
L’American Academy of Family Physicians raccomanda “esercizi di condizionamento per la schiena” per tutti i soggetti, di età compresa tra i 19 e i 64 anni, hanno un rischio aumentato di traumi alla schiena, per precedenti anamnestici, configurazione corporea o particolari attività praticate.
Queste raccomandazioni sono attualmente in via di revisione. L’Agency for Health Care Policy and Research (AHCPR) raccomanda di educare i pazienti sui sintomi della lombalgia e di effettuare corsi di back school sul posto di lavoro. L’AHCPR ha anche pubblicato raccomandazioni sul trattamento dei problemi lombalgici acuti. Il programma denominato “Lift it Safe”, proposto dall’American Academy of Orthopaedic Surgeons, consiglia specifiche tecniche di sollevamento per prevenire il mal di schiena ed esercizi per ridurre i disturbi lombalgici.
Il National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH) non raccomanda l’uso di cinti per la schiena per prevenire problemi lombalgici tra i lavoratori che non ne hanno mai sofferto. Il NIOSH ritiene che il metodo migliore per limitare il più possibile l’insorgenza di problemi lombalgici in ambito lavorativo sia quello di elaborare ed attuare un vasto programma di tipo ergonomico.
Poiché il mal di schiena affligge, almeno una volta nella vita, la maggior parte dei soggetti adulti americani, i costi diretti e indiretti che ne derivano fanno di questa patologia uno dei problemi economicamente più gravi nei paesi industrializzati. Attualmente, gli studi sulla prevenzione della lombalgia e sui suoi fattori di rischio non hanno provato che un intervento mirato possa ottenere benefici.
L’esercizio fisico può risultare discretamente protettivo contro il dolore lombare, ma non sono disponibili dati di follow up oltre i 18 mesi. I migliori risultati sembrano derivare da programmi estesi, che uniscono all’esercizio fisico interventi di tipo educativo. Questi programmi intensivi vengono tipicamente svolti nei posti di lavoro, anche se i medici potrebbero aspettarsi risultati simili, se fossero disponibili risorse per ripetere i programmi di intervento risultati efficaci.
L’esercizio aerobico sembra essere efficace almeno quanto gli esercizi mirati alla muscolatura del tronco, e può essere consigliato sulla base di altri benefici comprovati. Gli studi sull’educazione alla cura della propria schiena hanno portato a scarsi risultati per poterne sostenere l’uso nella prevenzione del dolore lombare.
Sebbene alcuni interventi di tipo educativo possano conseguire benefici di modesta entità, la variabilità degli interventi ed il fatto che nessuno degli studi sia stato condotto, rende difficile consigliare un intervento specifico che possa essere efficace nella pratica clinica.
Per quanto riguarda i corsetti ed i cinti per la schiena, i dati raccolti sono contrastanti e pertanto insufficienti per poterli attualmente consigliare. Gli studi più vasti hanno indicato che i supporti meccanici possono aumentare, in alcuni individui, il rischio di provocare una lombalgia e le sue conseguenze in termini economici.
Infine, nessuno studio ha esaminato gli effetti, sul rischio di lombalgia, derivanti dalla modificazione dell’abitudine al fumo, dell’obesità o dei fattori psicologici.
CONCLUSIONI
Sebbene siano state raccolte alcune prove dell’efficacia dell’esercizio fisico (flessioni, estensioni, esercizio aerobico o fitness) nella prevenzione dell’insorgenza della lombalgia, i benefici risultano di modesta portata e non ne è stata accertata la durata; gli interventi, inoltre, non sono stati valutati in situazioni cliniche controllate. Sulla scorta dei dati disponibili non è pertanto possibile formulare raccomandazioni a favore o contro l’invito ai pazienti a eseguire esercizi specifici per prevenire il dolore lombare.
La pratica regolare di un’attività fisica può comunque essere consigliata per altre ragioni, tra cui la comprovata efficacia nella prevenzione della cardiopatia ischemica, dell’ipertensione, dell’obesità e del diabete. Sulla scorta dei dati disponibili, non è possibile formulare raccomandazioni a favore o contro gli interventi di tipo educativo o l’utilizzo di supporti meccanici per la prevenzione del dolore lombare.
Data l’esistenza di alcune evidenze del fatto che i supporti meccanici possano aumentare il rischio di lombalgia, il loro utilizzo può essere sconsigliato, eccetto nel contesto di programmi di più ampia portata, laddove il loro uso possa essere attentamente controllato per evitare la comparsa di effetti negativi. Sulla scorta dei dati disponibili non è pertanto possibile formulare raccomandazioni a favore o contro la modificazione di fattori di rischio, rivolta specificatamente alla prevenzione della lombalgia.
Lo screening per l’obesità e l’educazione sanitaria volta a prevenire l’uso del tabacco sono raccomandati sulla base di comprovati benefici, indipendenti dalla prevenzione della lombalgia. Lo screening sul luogo di lavoro e le disposizioni in materia di ergonomia esulano dagli scopi della presente trattazione.